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Eduardo e Peppino De Filippo

Uscito sul Quotidiano del Sud - Edizione di Salerno in due parti:
Prima parte il 11-01-2021
Seconda parte il 16-01-2021
Pagina culturale

 
E duardo e Peppino De Filippo ebbero solo due cose in comune: l’amore per il teatro e quello per la sorella Titina, carissima a entrambi, e che cercò sempre, senza fortuna, di mettere pace tra loro. Null’altro.
Lavorarono insieme condividendo copioni e tavole di palcoscenico per quasi 20 anni, ma non furono mai veramente vicini, né veramente fratelli.
A dividerli, una differenza abissale per quel che riguarda il concepire e vivere il teatro. Oltre questo, forse anche l’invidia per i reciproci, per motivi diversi irraggiungibili successi.
Ma andiamo per ordine.
Totò, grande amico di entrambi, nel 1930 lascia la compagnia Molinari di Napoli, per andare al nord. In una stanza di pensione, è stata trovata morta la ballerina Liliana Castagnola, uccisasi per amor suo, e lui sente il bisogno di allontanarsi. Serve un sostituto, anzi, vista la portata dell’artista, meglio due. Vengono scritturati Eduardo e Peppino, con Titina felicissima del loro ingresso perché già ci lavora. La prima commedia che va in scena è ‘Sik Sik l’artefice magico’, scritta da Eduardo col contributo di Peppino. Il nome del protagonista viene scelto da lui, ispirato dall’estrema magrezza del fratello.
‘Eduà, non vedi come sei secco? Sembri la statua della fame!’
Il trio è fantastico e le loro rappresentazioni vanno a gonfie vele, così nel 1931 i De Filippo lasciano la Molinari e fondano il ‘Teatro umoristico: i De Filippo’. Umoristico perché alle loro commedie si ride, si ride assai, anzi ci si scompiscia. In effetti gli anni dal 31 al 36 sono quelli in cui le cose tra di loro vanno meglio, anche se la comicità di Eduardo già è intrisa di vena amara, mentre quella di Peppino è più immediata e scoppiettante. Recitano commedie loro, che hanno una produzione inesauribile, coadiuvati anche dalla sorellastra Maria Scarpetta.
Nel libro scritto da Peppino ‘Una famiglia difficile’, edizioni Marotta, Peppino definisce d’oro gli anni 31-32-33. La comicità delle situazioni che spontaneamente si creano, i lazzi che sbucano all’improvviso, smuovono l’ilarità intrinseca di ciascun attore e l’allegria diventa un’eco.
Col passare del tempo però il loro rapporto comincia ad incrinarsi: sentire e vedute diversi, e secondo Peppino un Pirandello di troppo, che invece con Eduardo trova una grande intesa.
Peppino si lamenterà che non so in quale commedia (credo ‘L’abito nuovo’) Eduardo addirittura in una scena lo tiene faccia al muro: in momenti drammatici la maschera di Peppino può suscitare un’ilarità… fuori luogo.
A partire dal 36 corre voce che i fratelli si separino. E’ entrato appunto in scena Luigi Pirandello, ammiratore dei De Filippo. Di lui daranno Liolà, Il berretto a sonagli, L’abito nuovo.
Eduardo considera l’incontro con Pirandello una svolta, Peppino, l’uomo della risata, non è certo di questo avviso.
E poi sarà vero quel che si dice, che un pollaio non può ospitare due galli, così il 10 dicembre del ’44, a un anno dalla morte della madre, la ‘Compagnia teatro umoristico: i De Filippo”, ispirata alle tecniche e vene satiriche della Commedia dell’Arte, cessa di esistere.
In realtà i due fratelli da tempo non si parlano nemmeno più, se non a teatro, e questo non è un mistero per nessuno. La potente vena comica di Peppino scalpita sacrificata tra le mani di Eduardo, che invece sogna di traslare reportage storici nelle sue commedie.
Quale goccia fa traboccare il vaso? Lo racconta Luigi, figlio di Peppino. Si recita al teatro Diana di Napoli. Eduardo, vedendo durante le prove alcune negligenze del fratello, quel giorno più demotivato e svogliato del solito, essendo un intransigente lo rimprovera davanti ai teatranti. I loro rapporti sono oltremodo tesi e questo per l’orgoglio di Peppino è davvero troppo. Fa il saluto romano in faccia a Eduardo e grida: Duce! Duce! Duce!
Va a finire che gli attori devono separarli.
Già prima di allora, tra i due c’erano stati molti dissapori e avevano continuato a lavorare insieme solo per onorare gli impegni. Qualche tempo dopo il litigio, Peppino scrive una lettera ad Eduardo, in cui, con parole miti e giudiziose cerca una rappacificazione. In periodo pre-natalizio, farebbe doppiamente piacere alla madre, ormai anziana.
Ma categorico Eduardo così risponde:
“Caro Peppino, ti pare che dopo quanto è accaduto tra me e te, dopo anni di veleno amarissimo, un semplice colpo di spugna può cancellare dal mio animo l’offesa e il risentimento? Tu dici siamo fratelli. Certo. Ma l’amore fraterno è un sentimento da asilo infantile. Credi a me. Fratelli si diventa dopo aver guardato nell’animo di una persona come in uno specchio di acqua limpida… Scusami, ma io, guardando nel tuo, il fondo non lo scorgo. La tua lettera è troppo ingenua. Io voglio tenderti la mano, ma con un chiarimento esauriente, onesto, sincero. Se tu mi vuoi bene come ai primi tempi della nostra miseria, vuol dire che nulla puoi rimproverarmi… mentre io, e questo è il mio più grande dolore, non ti voglio bene come allora. Ti temo…”
Dunque nel 1944 la loro compagnia, quando sono all’apice del successo e i botteghini registrano il tutto esaurito, si scioglie, e ognuno va per la sua strada: per Eduardo preminentemente quella del teatro, e per Peppino quella del cinema e della televisione. Eduardo tiene Titina con sé e fonda una nuova compagnia, detta Compagnia di Eduardo, per la quale nel 1948 acquista e restaura a sue spese (una fortuna), il teatro S. Ferdinando di Napoli, poi inaugurato nel 1954. In questo teatro Eduardo lavora e interpreta commedie sue e di altri autori.
Nel 1972, quindi molti anni dopo (il pubblico aveva sempre caldeggiato una loro riconciliazione), una sera Luigi convince suo padre Peppino ad andare al teatro S. Ferdinando, dove Eduardo recita Napoli milionaria. Finito il I° atto, Eduardo, che li ha visti, resta a lungo in silenzio sul palcoscenico. Dopodiché si riprende e li invita a salire, dove, tra scrosci di applausi, si abbracciano. Terminato lo spettacolo, vanno a cena in un’osteria, dove conversano amabilmente come se mai niente fosse accaduto, senza però affrontare argomenti inerenti il lavoro, visto che quello resta un terreno minato.
Ma i loro rapporti non tornano mai normali e quando Peppino il 27 gennaio del 1980 muore, Eduardo, che recita al teatro Duse di Bologna, al pubblico dice: ‘Peppino da vivo non mi mancava. Mi manca molto adesso, come compagno, amico, ma non come fratello.’
Il giorno dopo non va ai suoi funerali. Probabilmente vuole evitare che i giornalisti intingano anche in questa circostanza la loro penna nel pettegolezzo. Attorno al presunto odio tra i De Filippo all’epoca si accaniva molta curiosità. Quella sera però tiene chiuso il teatro.
E’ la storia di due fratelli dal carattere molto forte, una grande vitalità, infatti ebbero tre mogli a testa, e un temperamento che nei rapporti interumani non faceva sconti. Si scontrarono violentemente persino al capezzale di Titina morta, sotto gli occhi attoniti dei suoi familiari: non riuscivano a mettersi d’accordo sulle questioni della sepoltura.
Eduardo senza nemmeno un pelo sulla lingua, rigoroso a teatro (e non solo), e assai permaloso. Peppino, secondo i più molto invidioso negli anni che il fratello incontrava, come autore e capocomico, il favore di pubblico e critica, mentre lui non era altrettanto famoso. Forse anche un po’ troppo chiacchierone per i gusti di Eduardo.
Pure Eduardo fu invidioso del successo televisivo e cinematografico dell’altro, soprattutto quello col grande Totò, di cui Peppino quasi eguagliava la grandezza per la sua grande vis comica. Memorabili restano i loro film. Inoltre in quegli anni Eduardo difronte alla macchina da presa non sembra avere, a differenza sua, una totale padronanza.
Di lui invece resta indimenticabile la regia di Filumena Marturano, interpretata da Vittorio De Sica e Titina De Filippo, per la quale Eduardo l’aveva scritta. Peppino lavorò in cento film, girati da grandi registi come Fellini, Lattuada, Monicelli, Risi, Soldati, Corbucci.
In più la figura di Pappagone, il suo alter ego, una maschera da lui inventata, piena di buffi neologismi e sfondoni (eqque qua, piriché, la carta di ndindirindà, che entrarono nel parlare divertito degli italiani), che tanto entusiasmava il pubblico televisivo negli anni sessanta, secondo Eduardo era fiacca, e poi non gli faceva simpatia vedere storpiata la nostra lingua, e lo affermava pubblicamente, con grande dispiacere di Peppino…
E come meravigliarsene, visto che invece Eduardo teneva talmente alla lingua partenopea che nella sua vita si adoperò in ogni modo per far sì che il teatro dialettale, prima ritenuto di second’ordine dai critici, fosse finalmente considerato teatro d’autore.

I tre De Filippo erano figli illegittimi del grande Eduardo Scarpetta, che li aveva avuti da una lunga relazione extraconiugale con Luisa, sarta della compagnia e nipote della moglie Rosa, e non furono mai dal padre riconosciuti.
Eduardo scoprì di chi era figlio (lui, Titina e Peppino, Scarpetta lo chiamavano zio), quando aveva dieci anni. Ne rimase sconvolto, morto di vergogna. Questo dolore lo fece così presto uomo.
All’inizio della loro carriera inoltre i De Filippo lavorarono sotto la direzione del fratellastro Vincenzo, figlio legittimo di Scarpetta. Vincenzo e Eduardo furono accomunati da severità e rigore sul lavoro.
Ecco, forse essere figli naturali di Scarpetta diede loro il vantaggio dei figli d’arte (da piccoli già calcavano il palcoscenico) ma anche la caparbietà di chi vuole affermarsi sia per averne le capacità sia per un senso di rivalsa sociale. Eduardo fu segnato anche da un gravissimo lutto, nel 1960: la morte della figlioletta Luisella, di soli 12 anni. La bimba era in vacanza al Terminio con amici di famiglia e il fratello Luca; Eduardo e la moglie (la seconda delle tre) a Roma, lui per lavoro, lei dal dentista. Quando furono chiamati e corsero da lei, Luisella era già morta, presumibilmente per un’emorragia cerebrale.
Tante volte Luca nelle interviste rilasciate ricorderà la sorellina morta tra le sue braccia, menzionando il dramma che cancellò di colpo la sua infanzia.
Eduardo, fuori di sé, fece il quarantotto coi sanitari e persino con la moglie, che si era allontanata lasciando la bambina…
Questo atroce dolore non poté mai più dimenticarlo e fu probabilmente il pozzo dal quale tante volte emerse la sofferenza di cui sono intrise le sue opere.
A proposito del nome Luisa: era quello della madre dei De Filippo, una donna coraggiosa, perché avere allora figli fuori del matrimonio, significava venire additati dalla società. Però forse anche troppo accondiscendente nei confronti del maschilista Scarpetta.
Lei fece di tutto, quando Eduardo era piccolo, per distoglierlo dall’intraprendere la carriera di attore e commediografo. Voleva fortemente per lui un lavoro sicuro (caldeggiava quello di elettricista), e quando Eduardo aveva 13 anni gli strappava tutti i copioni teatrali che scriveva. Sicuramente non immaginava che sarebbe venuto un tempo in cui il Presidente della Repubblica Sandro Pertini avrebbe conferito al figlio per i suoi meriti artistici e i contributi alla cultura il titolo di senatore a vita, né che avrebbe ricevuto nella sua carriera due lauree honoris causa in Lettere, una conferitagli nel 1977 dall’Università di Birmingham e una nel 1980 dall’Università la Sapienza di Roma, dove fu anche Docente a contratto di Drammaturgia tra il 1981 e l’82.
Beati gli studenti che poterono giovarsi delle sue lezioni!
Nel 1975 fu candidato al premio Nobel per la letteratura. Non gli fu attribuito, secondo me ingiustamente.
Eduardo scrisse la sua prima commedia completa a 20 anni: Farmacia di turno, e ci ha lasciato un patrimonio letterario di inestimabile valore. Quindi una storia molto umana, come quelle che Eduardo amava raccontare nelle sue splendide commedie, storia il cui assunto potrebbe essere che anche i grandi sono come tutti, vittime e artefici di amori dolori odi passioni.
Eduardo (lo chiamo ancora così perché per i più lui è semplicemente Eduardo), il 4 marzo del 1974 ebbe un malore mentre recitava e per questo gli fu applicato un pace maker. Il 27 marzo era di nuovo in palcoscenico a recitare. Dopo la sua ultima interpretazione, nel film Cuore di Comencini, dove faceva la parte del maestro, morì a 84 anni per un blocco renale.
Le sue ultime parole pubbliche, lo stesso anno, a Taormina, furono:
‘E’ stata una vita di sacrifici: così si fa il teatro. Così ho fatto. Ma il cuore ha tremato sempre, tutte le sere, tutte le prime rappresentazioni. E l’ho pagato. Anche stasera batte. E continuerà a battere, anche quando si sarà fermato.’
Invece Peppino morì a 77 anni per un tumore.
Soleva dire: ’La miseria è il vero copione della comicità.’
‘I napoletani? Sono ipocriti. Sembrano allegri, invece sono tristi.’
Una volta, quando in un ristorante il maitre gli chiese:
’I Signori hanno il tavolo?’,
lui rispose:
‘No, non lo abbiamo portato’.

Ecco, questi erano Eduardo e Peppino De Filippo.
Entrambi hanno avuto figli maschi, rispettivamente Luca e Luigi, che hanno portato egregiamente avanti il lavoro e l’arte dei padri.

Norma D'Alessio