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A grandezza naturale, di Erri De Luca

Uscito sul Quotidiano del Sud - Edizione di Salerno il 15 maggio 2021
Pagina culturale

 
‘C onsta di una Premessa e nove racconti, l’ultima fatica letteraria di Erri De Luca, che definire fatica per lui non vale, considerato il suo rapporto ameno con la scrittura.
La prima cosa che penso circa questo libro, è che il titolo non mi piace.
La seconda: ha scritto così tanti libri Erri, che ormai è a corto di titoli.
Subito dopo, parte il mio primo complimento per lui:
uno scrittore che pure in mezzo a una fila di ombre, ti mostra una luce.
Comincia, nella Premessa, con lo spiegare per quale ragione lui scrive, quasi a volersi giustificare.
Incontenibile slancio creativo? No.
Scrive perché da sempre è uso all’economia. Non è padre, non ha ‘prolungamenti’, il suo seme dunque ’inaridirà con lui’.
Ma perché non vada disperso, prendiamo esempio dalla natura: cosa fa un seme sepolto sotto una valanga? ‘Ha inscritta in sé la notizia della forza di gravità e per contrasto cresce in direzione opposta’.
Erri fa così. Non diventando padre, dedica la sua vita a generare storie.
Il vocabolario è ‘la sua macchina per attraversare il tempo’.
Non diventando padre, rimane necessariamente figlio, e nei suoi rapporti con chi è padre, o figlio, è contemporaneo, li considera alla pari.

Nelle pagine di questo libro, l’autore narra storie estreme di genitori e figli, a cominciare da quella di Abramo e Isacco, e dalla sua mancanza di legittima difesa contro il padre.
E’ non credente, Erri, ma nessuno come lui si rifà così spesso alle scritture sacre. Riflette sull’imperativo che risiede nel Padre Nostro: dacci, rimetti, liberaci, e sulla magnanimità di Dio che dopo la disubbidienza di Adamo ed Eva ‘non li cancella, né li riprogramma. Se li tiene così’.
E si infila da subito, sin dalle prime pagine, nella rievocazione del rapporto con suo padre. Lo ha fatto tante volte nei suoi libri, lo fa anche adesso.
Ogni silenzio che c’è stato tra lui e suo padre, nel percorso di scrittore si è poi tramutato in parole scritte, tradotte in trenta lingue.
A 18 anni disertò casa, in seguito gli fu detto che suo padre in segno di dolore si strappò la camicia. Il suono di questo strappo lui non lo sentì, eppure il suo timpano lo ha conservato per tutti questi anni.

‘Tra genitori e figli irrompe la terra di nessuno dell’adolescenza. Gli adulti sono d’improvviso il passato remoto’.
Da ragazzo ha rifuggito pure dall’appellativo padre detto di un sacerdote, e anche da quella figura indistinta oltre la grata del confessionale, che lo trattava da insolente se negava i peccati, quei peccati…
Il primo racconto porta il titolo del libro: A grandezza naturale. Vi si parla della storia di Abramo e Isacco, e di quella di Marc Chagall e suo padre, ed è proprio di questa che voglio riferire.
Marc Chagall (1887-1985), vero nome di battesimo Marek, si trova a Parigi e pensa a suo padre, commerciante di aringhe in Bielorussia. In una pagina di diario che Erri riporta, Marek scrive di lui:
‘Avete visto nei quadri fiorentini uno di quei personaggi con la barba incolta, gli occhi scuri, a volte cinerei, di un colore di ocra cotta, coperti di peli e di rughe? E’ mio padre. Sollevava dei pesanti barili e il mio cuore si raggrinziva come un croccantino guardandolo alzare quei carichi e rimestare tra le piccole aringhe con le sue mani gelate. I suoi vestiti rilucevano della salamoia delle aringhe. Intorno gli cadevano dei riflessi sui fianchi. Solo, il suo volto, un po’ giallo e un po’ chiaro, rivolgeva ogni tanto un debole sorriso.’
Eppure la gratitudine di Chagall per suo padre tarda ad arrivare.
Non onorò suo padre (in realtà la traduzione giusta del Primo Comandamento, secondo Erri, non è onorare, ma dare peso). Marek non diede peso a suo padre. E invece ‘dare peso ai nostri genitori si tramuta nel nostro peso sul piatto del mondo’. Accade però, anche se tardivamente, che Marek sotto il flusso della commozione vuole dipingere suo padre e lo dipinge a grandezza d’uomo. Nel ritratto mancano le mani. Di quelle mani rose dal ghiaccio, del loro puzzo di aringhe, da ragazzo Marek non andava fiero, dunque non osa raffigurarle. Desidera tenere lontano il ricordo di quando i compagni lo prendevano in giro per quest’odore di pesce che la loro famiglia (lui era il primo di nove figli), si portava appiccicato addosso. Ma a Parigi, così distante dalla sua terra natale, Marek avverte di avere tradito suo padre, ed ora non più il disgusto per il suo mestiere, ma l’amore e la riconoscenza lo assalgono, come un dolore. Dipinge suo padre, ma quando arriva a doverne raffigurare il volto, il suo pennello gli diventa nemico, non riesce. Prova e riprova ancora, niente. Si decide a rompere la tela con un colpo sul ginocchio, ma ecco che sente una voce chiamarlo, proveniente dall’altra stanza. Forse un’eco della sua coscienza. Come in trance si ferma e stringendo la tela tra le braccia, poggia un bacio nel punto in cui deve disegnare la testa di suo padre. Ora vede tutto chiaro e comincia a dipingere partendo dagli occhi, che cerchia di rosso. E’ la lunga notte della gratitudine e Marek la dedica a suo padre, che ’resterà piantato in un ritratto, formato uno a uno, grandezza naturale, quella che sta tra genitori e figli’.
Ecco, ho ora spiegato perché Erri ha scelto questo titolo, che francamente più ci penso dopo la lettura e più mi sembra azzeccato.
Gli altri racconti sono tutti incisivi, soprattutto quello che narra della figlia di un boia del nazismo, del suo atroce dolore quando scoprirà chi è realmente suo padre, che non è nemmeno pentito, e ancor più del suo tormento nell’accorgersi che gli vuole bene. E’ in realtà un racconto che Erri aveva già scritto in passato, intitolandolo Il torto del soldato. Ora fa una cosa mai fatta: lo riscrive.

Storie di sentimenti forti in questo libro, che descrive l’amore tra padri e figli e i loro nodi.
L’incanto di cupola di stelle, e sopra un cielo mai quieto.
La presenza di un padre, quello di Erri,’ da cui lui ha preso, preso e lasciato, cranio da cranio, libri, vino e montagne’.
Dopo la sua morte, Erri lo sognò. Era composto e serio, gli diede tre coppie di cifre, di cui due uguali. Imbeccato dalla madre, Erri volle giocare al lotto la coppia di numeri che per due volte si ripeteva: ambo su tutte le ruote d’Italia, e secco sulla ruota di Venezia, comparsa nel sogno. I numeri non uscirono. Uscirono invece il sabato successivo e nel telefonare a sua madre, Erri, un po’ rammaricato, ci scherzò su. In risposta, la madre gli rivelò di averli giocati ancora.
‘Pecché s’adda fa’ tre vvote!’
Avevano dunque vinto.
La somma? Equivaleva in tutto e per tutto a quella pagata per il funerale del padre.
Lui era uno che non voleva ‘pesare’, anzi, il suo desiderio riguardo ai beni materiali, era…’spogliarsi’.
Erri è come lui. Abita da 50 anni in una casa in campagna costruita con le sue mani di muratore mattone su mattone.
‘La ricchezza- dice- addobba spazi che poi lascia vuoti’.
Norma D’Alessio