parallax background

Analfabetismo funzionale

Uscito sul Quotidiano del Sud - Edizione di Salerno il 13-11-2020
Pagina culturale

 
A ffligge dal 26 al 41 % delle popolazioni prive di analfabetismo, nella fascia d’età tra i 16 e i 65 anni. E il tasso italiano è il più alto d’Europa. Sono gli illetterati, persone che pur sapendo leggere e scrivere, risultano incapaci di capire valutare ed usare le informazioni in loro possesso per applicarle alla vita di tutti i giorni.
Non riescono, ad esempio, a comprendere un articolo di giornale, analizzare un libro di narrativa, interpretare un saggio, un grafico, una proposta di lavoro, il libretto d’istruzioni di un cellulare.
Ma chi sono gli analfabeti funzionali?
A tracciarne l’identikit, è l’Osservatorio Isfol nell’articolo
I ‘low skilled’ in Italia
Si tratta per lo più di:
- Giovani che hanno precocemente abbandonato la scuola
- Giovani che stanno a casa senza studiare né lavorare
- Persone che fanno lavoro nero e/o precario
- Persone che non si sono formate sul lavoro
- Operai poco istruiti e che fanno lavori non qualificati
- Persone nelle cui famiglie ci sono meno di 25 libri
- Disaffezionati alla cultura
- Pensionati privi di invecchiamento attivo
- Carcerati e criminali in genere ( almeno il 65% di entrambi è affetto da analfabetismo funzionale)
Insomma, tutti adulti, giovani e meno giovani, con bassi livelli di competenza.
Il 41% ha più di 55 anni. In pratica, soffrono di un analfabetismo ‘di ritorno’, cioè sono andati a scuola ed hanno imparato a leggere e scrivere, ma successivamente non hanno più nutrito la mente. Molti di loro hanno fatto percorsi scolastici brevi, un precoce ingresso nel mondo del lavoro, e mancano di collaborazione e manutenzione delle competenze.
Hanno scarso senso critico, tendenza a credere ciecamente a tutto ciò che leggono, fanno largo uso di stereotipi e pregiudizi.
Pur avendo quasi tutti uno smartphone, non avendo capacità di critica, nell’era di Internet sono più facilmente fuorviati, disorientati, più facilmente ricorrono all’Antimetodo per interpretare la realtà. Sono spesso promulgatori di fake news.
Il giornalista Enrico Mentana, fondendo le parole web ed ebete coniò nel 2016 il neologismo Webete per descrivere gli analfabeti funzionali che si affacciano nel mondo dei social network e sempre alcuni anni orsono ad apostrofarli fu anche Umberto Eco, che di loro disse qualcosa che suscitò grandi polemiche:
‘I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo aver bevuto un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel.’ Si era nel 2015 ed Eco aveva appena ricevuto la laurea honoris causa in Comunicazione e cultura dei media a Torino.
Certo, quella di Eco è un’affermazione forte, ma tiene conto di un dato reale: senza pratica, le capacità legate all’alfabetizzazione possono anche consumarsi, essere perdute di anno in anno.
E così i low skilled, gli analfabeti funzionali, sembrano destinati ad aumentare. A queste persone la società dovrebbe fornire strumenti che garantiscano un invecchiamento attivo, con un costante allenamento mentale, e invece non esistono progetti politico-sociali intenzionati ad insegnare ( o ricordare) loro cos’è uno spirito critico, la verifica delle fonti e l’uso delle abilità di scrittura e lettura per meglio comprendere la realtà e interagire con essa. A peggiorare il tutto, la proliferazione di ciarlatani che sfruttano queste persone per tornaconto personale. Addirittura ci sono politici che le usano come facile bacino di voti.
In sostanza, sembra trattarsi di una piaga sociale difficile da curare. Credo che si dovrebbe partire da un percorso scolastico di sensibilizzazione, che tenga conto della necessità, nonché utilità di fornire informazioni circa questa problematica.
Vedo questa cura come un puzzle composto di innumerevoli pezzi: salute, esercizio fisico, partecipazione alla vita sociale del territorio, intrattenimento nelle forme più disparate, come gioco a carte, scacchi, enigmistico, tutto serve, oltre alla lettura ( ecco, quella di un quotidiano ci mantiene in ottimo allenamento) e alla comunicazione, e a un uso intelligente dei social, naturalmente.
Insomma, allenare la mente e praticare e nutrire la cultura.
E chi ne ha di più, la spinga… un po’ più lontano rispetto ai suoi abituali luoghi.
A conclusione, la dichiarazione di Persepoli adottata dall’Unesco nel 1975:
‘L’alfabetizzazione non consiste solo nel saper leggere scrivere e fare di conto, ma è un contributo all’emancipazione di ogni essere umano e al suo completo sviluppo. Fornisce gli strumenti per acquisire capacità critiche nei confronti della società in cui viviamo, stimola l’iniziativa per sviluppare progetti che possano agire sul mondo e trasformarlo, e fornisce le capacità per vivere le relazioni umane. L’alfabetizzazione non è fine a se stessa, è un diritto fondamentale dell’uomo’.

Norma D'Alessio