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Cimitero delle fontanelle

Uscito sul Quotidiano del Sud - Edizione di Salerno il 27-03-2020
Pagina Cultura e Società

 
C imitero delle fontanelle a Napoli: un luogo di fascino culto e mistero. Si tratta di un’ex cava di tufo che dimora in via Fontanelle, nel rione Sanità, uno dei quartieri partenopei più poveri, che diede i natali al principe De Curtis, Totò.
Vi giacciono circa 40000 resti di scheletri, ordinati per tipologia: femori, tibie, teschi, questi ultimi dal popolo detti capuzzelle. Tutti provenienti dalle epidemie di peste e colera realizzatesi tra il 1600 e il 1800. Le ossa sono anonime, tranne quelle di Filippo Carfa conte di Cerreto e il corpo mummificato della nobildonna Margherita Petrucci, che ha la bocca spalancata come chi sta per vomitare. Secondo la leggenda morì soffocata da uno gnocco. Nei tempi antichi, ciascuna capuzzella o anima pezzentella, cioè abbandonata, veniva adottata da una persona che andava lì a pulirla, sfregandola di continuo coi fazzoletti, farle compagnia, pregarla. Il teschio prescelto veniva messo in una teca, ornata da rosari e ceri accesi. Il rapporto si intensificava con la preghiera di una grazia, riguardante faccende di salute o più spesso la richiesta di numeri da giocare al lotto. Quando lo spirito approvava l’invocazione, il cranio iniziava a sudare, segno per il suo tutore che stava esaudendo la grazia. In realtà il microclima del cimitero è molto umido e crea condensa, con conseguente presenza di goccioline sulle capuzzelle. Se la grazia non arrivava, la capuzzella veniva considerata traditrice, e rimessa nell’ossario. La scelta ricadeva su un’altra. Occorre precisare che i resti del cimitero non provengono solo dalle migliaia di morti dovute alle epidemie, ma anche da … sovraffollate sepolture. Il canonico ed etnologo Andrea de Jorio racconta infatti che verso la fine del 700 tutti coloro che ne avevano la disponibilità economica, lasciavano disposizioni scritte per essere seppelliti nelle chiese. Tuttavia, esautoratosi in queste la capienza per le sepolture, c’era nelle ore notturne tutto un traffico di becchini che prendevano il morto precedentemente seppellito, se lo caricavano in spalla in un sacco e lo andavano a gettare in una cava piperina. Gli accumuli di ossa nelle cave, crescevano sempre di più. Ci furono successivamente, per i sistemi fognari inadeguati, inondazioni che trascinarono questi resti nelle strade, allestendo uno spettacolo apocalittico. Le forti alluvioni, furono dette lave delle Vergini, grotte scavate nel morbido tufo. Fu necessario allora ricomporre le ossa. Nella cava di via Fontanelle, si provvide a costruire un altare e mura di cinta e questo divenne l’ossario della città, ampio, imponente, dotato di due enormi cavee alte 12 metri. Nel marzo del 1872 il cimitero, detto delle fontanelle proprio per rimarcare che nella sua storia fa da protagonista l’acqua, venne aperto al pubblico e l’apertura diede il via al rito dell’adozione, che andò avanti per lungo tempo. Negli anni 60 però il parroco della chiesa delle fontanelle, don Vincenzo Scancamarra, preoccupato per il feticismo insinuatosi nel rito dell’adozione, proibì il culto individuale delle capuzzelle, consentendo solo la celebrazione di una messa al mese per le anime del purgatorio, e inoltre che ogni anno il 2 novembre si facesse all’interno del cimitero una processione.
A questa decisione fece seguito nel tempo un oblio devozionale per cui il cimitero giacque dimenticato per molti anni, sino a che, nel 2002, fu messo in sicurezza e riordinato. Solo nel maggio 2010, una pacifica occupazione degli abitanti del quartiere convinse l’amministrazione comunale a riaprirlo e renderlo di nuovo accessibile. Una visita al cimitero, che è gratuita ma va prenotata (ante lockdown si poteva farlo sino a 30 minuti prima), spiega più di tante parole cos’è lo spirito partenopeo; auspichiamo dunque la ripresa dell’ingresso appena sarà possibile.

Norma D'Alessio