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Due vite

Uscito sul Quotidiano del Sud - Edizione di Salerno il 16.09.2021
Pagina Culturale

 
E manuele Trevi, che con questo libro si aggiudica il premio Strega di quest’anno, descrive la sua amicizia con lo scrittore Rocco Carbone e la scrittrice Pia Pera, amici anche tra di loro. Sia Rocco che Pia, sono morti prematuramente. Rocco Carbone in un incidente col motorino, a 46 anni. Pia per la triste evoluzione di una SLA, a 60 anni. Mentre scrive, le ferite dell’autore sono ancora aperte, forse così resteranno per sempre. Dunque non siamo difronte a una storia di fantasia. Qui è tutto tremendamente vero. Com’è reale l’autore del libro, lo sono i suoi amici, peraltro scrittori noti. Viene qui esplorato l’universo di profonde amicizie, dal cuore e dalla dialettica pulsanti. Con Rocco, Emanuele ha un rapporto per lungo tempo amaro. Rocco nemmeno sottace il suo bisogno di attenzione ed affetto e stressa il compagno con le sue critiche e le sue ‘finte’ distanze, la sua ‘chiusura stagna alle idee altrui’, che li porterà a un certo punto della loro vita ad allontanarsi. Invece Pia, definita dall’autore come una signorina inglese, pur seducente nell’assenza di bellezza, spargerà anche nel rapporto con Emanuele, così come in ogni altro della sua vita, la sua lucente grazia. Rocco ha una personalità complessa, sempre braccata da ‘furie’, ossessionato dalla ricerca dell’essenzialità, ‘incline a una rigorosa amarezza di vedute sulla vita e sulla morte’ e ‘se l’anatomia umana glielo avesse consentito, si sarebbe spesso e volentieri lucidato le ossa e i nervi con uno spazzolino di ferro.’ Parlare di Rocco, significa necessariamente parlare della sua infelicità. Ma perché Rocco è così infelice? Secondo l’autore per rispondere a questa domanda, bisogna coniare parole tipo rocchite o rocchiasi. Ci sono persone i cui tratti, alcuni peraltro anche belli, si dispongono attorno a un buco nero. Ecco, così è Rocco, e si è organizzato la vita per foraggiare ogni giorno il suo buco nero. Il resto del tempo, lo usa per lamentarsi, è un esercizio di negatività. Dacché è nato, ha sempre vissuto così, lui e le sue notti tormentate, che gli imponevano di alzarsi alle cinque del mattino, anche da giovane. Eppure ha avuto tante donne, ha amato ed è stato amato, ma non è questo il punto. Invece Pia è nata per accudire esseri umani, animali e vegetali. Il bene che lei fa non è mai volontario, perché sgorga da subito, così come dal cuore può sfuggire un palpito, ancor prima di programmare, ancor prima di decidere. Nessuna santità, solo sensibilità, coraggio, determinazione, che negli anni della malattia le valgono a fare pulizia interiore, liberando i suoi cassetti interni di inutili orpelli, che tutto sommato non sono nemmeno tanti, rispetto a ognuno di noi. Rocco si dedica a scrivere ed insegnare nelle carceri, invece Pia oltre a scrivere fa traduzioni dal russo, regalando al mondo la gioia di vere e proprie opere letterarie nell’opera letteraria. Viaggia in lungo e in largo il mondo per saziare la sua congenita curiosità circa l’essere umano e le sue stranezze, sempre a caccia di autenticità. Da quel momento che percepisce su di sé lo sguardo di un suo compagno, di rimprovero ‘infastidito’ perché zoppica (di sicuro segnale d’inizio della SLA), si avvia a una vita di solitudine insieme al suo ultimo cane Macchia. Forse quell’uomo è il terminale dei famosi ‘vermi’ che Pia affermava di avere frequentato a vuoto. ‘Iniziando a zoppicare, Pia si era dislocata in un terreno impervio e per molti versi inaccessibile all’esistenza, dove nessun verme poteva più raggiungerla, e da lì scriveva il suo resoconto come da una base artica, da un insediamento su un pianeta remoto’. Rocco, nel dolore eppure nella gioia, brucia la vita con una miccia più rapida di chiunque altro. Emanuele lo inchioda alla sua personalità usando le parole di Camille Claudel: ‘C’è sempre qualcosa di assente che mi tormenta’. Trevi: ‘La felicità dovrebbe consistere in una sempre minore attenzione a se stessi. Meno sai chi sei e cosa vuoi, meglio stai. Quello che ho sempre augurato a Rocco, nei lunghi anni della nostra amicizia, è stato un minimo di inconsapevolezza in più. Lui invece era maestro nell’arte di guastarsi il sangue per futili motivi e quella di rimanere deluso dal prossimo.’ Memorabili, le descrizioni dell’autore circa il linguaggio dei libri di Rocco. Non posso esimermi dal riportarne almeno una: ‘Sia che i personaggi parlino in prima che in terza persona, la narrazione letteralmente non batte ciglio, anche sporgendosi su abissi incommensurabili di angoscia e dolore, su lutti e privazioni e spiacevoli scoperte. Il lessico è ridotto ai minimi termini, e qualunque imitazione dell’oralità è esclusa a priori. Frutto di innumerevoli rinunce e di un’implacabile ortopedia, la lingua di Rocco è una lingua interamente scritta. Lui ha orrore del parlato. Ne risulta una sorta di astrazione perpetua…. A Rocco non interessa nemmeno nominare le città dove si svolgono le sue vicende’. Pubblicava per la Mondadori, Rocco, ma percepiva con dolore che i suoi libri non erano di successo, non entravano nelle case della gente così come lui avrebbe voluto. Ma ‘come può strizzare l’occhio al lettore uno che non possiede nemmeno le palpebre?’ Basta. I tormenti di Rocco lo rendono sgradevole a tutti gli amici, e con Emanuele si allontanano. Garboli ha scritto che in ogni amicizia vive un rimorso. Così sarà per loro due. La morte di Rocco accade per un incidente. Pure, Emanuele a lungo si chiederà perché gli è stato lontano, perché non ha avvertito a prescindere il suo grido d’aiuto. Quando però Rocco Carbone dà alle stampe della Mondadori il suo capolavoro, dal titolo L’apparizione, i due si rincontrano, ed Emanuele ha la fortuna di godere dell’amicizia di Rocco ancora per qualche anno. Poi tutto finirà, lungo quella strada dove i compagni di Rocco chiederanno al comune di poter piantare un ulivo, che presto metterà le sue fronde a frusciare e sarà quello il punto di ritrovo con lui, per parlare ancora un po’ insieme. Una volta un vigile sorprende Emanuele che urina sotto l’ulivo e gli fa una lavata di testa, ma lui faceva solo un gesto fatto tante volte insieme all’amico. Rocco lascia un’opera incompiuta. Attraverso un lungo cammino di tremendo lavoro, Emanuele se ne prenderà cura per dare alle stampe della Mondadori quest’opera postuma che s’intitola ‘Per il tuo bene’. Che fine ha fatto nel frattempo la signorina inglese Pia Pera? Ascoltando una sua voce di dentro, ha lasciato la sua bella casa in città e si è ritirata in campagna, dove impara a zappare seminare prendersi cura dell’orto e delle piante, anche stando sulla sedia a rotelle a un certo punto della sua malattia. Poi vengono i tentativi disperati di cure alternative, ingozzarsi di intrugli schifosi che arrivano dall’altra parte del mondo garantendo sollievo e guarigione, invece sono solo notti passate a desiderare di morire. Quando Emanuele va a trovarla, non parlano mai di Rocco, ma la sua assenza rende ancora più forte il loro legame. ‘Espormi ad inutili sofferenze ed umiliazioni – diceva - ha fatto impazzire la mia energia’. Ora il giardino è pieno di serpenti che strisciano. Emanuele soffre per il decadimento fisico dell’amica, pure coglie ‘il movimento in avanti dell’anima che si libera’. Quali sono le due vite? Sono quelle di Rocco e di Pia, ma questo è scontato. Le due vite che l’autore annovera sono anche una fisica, fatta di sangue e carne. La seconda, quella che si svolge nella mente di chi ci ha voluto bene e che la scrittura può evocare. ‘E quando anche l’ultima persona che ci ha conosciuto da vicino muore, ebbene, allora davvero noi ci dissolviamo, evaporiamo, e inizia la grande e interminabile festa del Nulla, dove gli aculei della mancanza non possono più pungere nessuno’.

Norma D’Alessio