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n libro che mi ha dato tanto (anche in termini di sofferenza, che non considero un fatto negativo) e non credo che riuscirò mai a riporlo nello scaffale, allontanandolo fisicamente da me.
Un libro conosciuto da molti, ma forse non abbastanza per quel che merita.
Scritto nel periodo 1941-43, anni della persecuzione nazista nei confronti degli ebrei.
Etty Hillesum, olandese, vive ad Amsterdam, ha 27 anni ed è ebrea. Ha una laurea in giurisprudenza e si è poi iscritta alla facoltà di Lingue Slave. Quando inizia a scrivere il suo diario, che infine risulterà di ben 9 quaderni, si interessa di tradurre dal russo e darne lezioni, ma è anche appassionata di filosofia e psicologia.
Proviene dall’alta borghesia. Suo padre insegna lingue classiche ed è uno studioso di grande merito e disciplina; sua madre, una donna russa dal carattere dispotico e lamentoso. Etty ha due fratelli più giovani di lei, entrambi come lei di grande intelletto. Mischa è un musicista che dall’età di sei anni suona Beethoven in pubblico e diviene presto uno dei migliori pianisti d’Europa, Jaap un talentuoso biologo prima, medico poi.
Il temperamento autonomo di Etty la porta ad andare presto ad abitare per conto suo. Va a vivere in una stanza al terzo piano di una grande casa, il cui proprietario, Han, che lei chiama affettuosamente Pa Han, è un vedovo di 62 anni con cui la ragazza intraprende una relazione amorosa. Con loro vivono anche il figlio di lui Hans, una cuoca tedesca, Kathe, e un’infermiera di nome Maria Tuinzing, che diviene sua grande amica.
Ma ciò che di straordinario accade nella vita di Etty, è l’incontro con Julius Spier, un valente psicochirologo, proveniente dalla scuola di Jung, che fa da catalizzatore alla già intensa e profonda interiorità della ragazza. I due vivranno un quanto mai esclusivo rapporto di amicizia-amore, fitto di scambi culturali. Lui riceve decine di persone al giorno, cui legge la mano e fa da guida spirituale, con enorme consenso. Nella casa di Spier, che nel suo diario Etty menziona semplicemente come S., gravitano persone che diventano importanti anche per lei.
Gli anni del diario, sono gli anni dell’oppressione nazista, ma il diario non è dominato dalla guerra, piuttosto è un viaggio nella vita interiore, che alla giovane serve a ‘dipanare i pensieri’.
Etty è una donna carnale, dal forte desiderio di possesso nei confronti delle cose e le persone che ama, ma sotto la guida di Spier, inizia un cammino a ritroso che la porterà man mano nel tempo a ‘dematerializzarsi’, cosa che rappresenta anche un percorso idoneo a fronteggiare le privazioni che dovrà affrontare quando partirà per il campo di smistamento prima, Westerbork, per Aushwitz dopo. Lo stesso Spier, con cui condivide una forte attrazione fisica, la induce, per mantenere la più preziosa comunione dello spirito, a rinunciare a tutto quel che riguarda la carnalità.
‘E tra i nostri occhi, le nostre mani e le nostre bocche, scorre un flusso ininterrotto di dolcezza… Ormai si tratta semplicemente di essere buoni l’uno verso l’altro, con tutta la bontà di cui siamo capaci. E ogni riunione è anche un addio.’
Ciò a cui Etty non rinuncia, e non rinuncerà mai, è la natura.
‘Se mi chiuderanno in una cella da cui potrò vedere un solo albero, lo guarderò come si guarda un bosco.’
Le sofferenze dovute alla persecuzione nazista, sono il suo banco di prova. Il suo obiettivo non è lottare contro di loro, ma contro l’odio che ne potrebbe nascere, e che lei non vuole ospitare. Parla con Dio e prega, lei che non sapeva nemmeno inginocchiarsi, prega continuamente, senza mai chiedere per sé ma solo per gli altri, e dice al Signore che se Lui non potrà aiutare il suo popolo, sarà lei ad aiutare Lui, lo aiuterà affinché possa restare nel cuore degli uomini nonostante tutto il male ricevuto. Per quanto riguarda lei, prega di potersela cavare sempre da sola, senza nulla chiedere agli altri, già presi dai loro drammi.
La sua religiosità ha fatto sì che Etty sia da molti considerata una mistica.
In Olanda attualmente viene ritenuta simbolo di cristianesimo e dagli ebrei di tutto il mondo simbolo di ebraismo, ma è una inutile contesa, perché il cammino di Etty è assolutamente personale e fuori da qualsiasi chiesa o teologia. Quello che avverte e che promuove, è un altruismo radicale.
Nonostante i suoi forti legami con innumerevoli persone, sia nella casa di Pa Han, sia in quella di Spier e nel mondo accademico (dove è conosciuta e apprezzata per le sue traduzioni dal russo ed entra anche a contatto con la resistenza giovanile), nonostante lei riceva un incarico di dattilografa nel Consiglio Ebraico, Etty non vuole sottrarsi al destino del suo popolo. Gli ebrei appartenenti al Consiglio Ebraico lavorano freneticamente. Lei batte a macchina montagne di documenti, sino a che non sente più le dita, ma non è questo che le pesa. Le pesa passare le giornate in quello che definisce un inferno, dove gli ebrei si scavalcano gli uni con gli altri per guadagnare un privilegio, un qualsivoglia vantaggio, anche a scapito di altri ebrei più sfortunati, malati, affamati. Etty cerca conforto nei versi di Rilke, che legge e rilegge tante volte fino a che le pagine del libro le si consumano tra le mani. Agli ebrei è vietato entrare nei locali pubblici, nelle farmacie, passeggiare, salire sui tram. Vengono loro requisite le biciclette. Etty, costretta ad andare a piedi, deve combattere contro dolorosissime vesciche ai piedi. Per quanto riguarda il Consiglio Ebraico, lei non crede che farne parte serva veramente a qualcosa, tutto è sotto il controllo dei nazisti, dunque nonostante il parere contrario dei suoi amici, intenzionati a proteggere lei e la sua scrittura, che un giorno servirà a raccontare al mondo questa triste pagina della storia, decide spontaneamente di partire per Westerbork, nell’Olanda del Nord, al confine con la Germania, dove rimarrà dall’agosto del ‘42 al sette settembre del ‘43. Il villaggio di Westerbork era stato costruito nel 1939 dal governo dei Paesi Bassi per ospitare 1500 ebrei tedeschi e polacchi sfuggiti ai nazisti e in procinto di un visto per espatriare in Inghilterra o in USA. La comunità, che vive in duecentocinquanta casette circondate dalla brughiera e ravvivate dai fiori lunghi dei lupini, si era arricchita di una scuola, un orfanotrofio, una lavanderia, una sinagoga, una cappellina mortuaria, ma con l’arrivo degli ebrei olandesi la situazione degenera perché le abitazioni, i lavatoi, i servizi igienici, non possono servire tante migliaia di persone in più. Ma sono disagi temporanei, giacché il destino degli olandesi che vengono trasferiti a Westerbork è segnato. Solo questione di tempo, saranno tutti deportati ad Auschwitz. Non c’è settimana che non parta un treno.
I vagoni dei deportati non hanno finestrini, lì dentro si sta tre giorni a soffocare, con al centro un sol secchio d’acqua e un solo bugliolo. C’è chi arriverà già morto, soprattutto i bimbi malati di polmonite, che partono senza assistenza alcuna. Dalle fessure tra le assi di legno dei vagoni, sporgono centinaia di mani a salutare.
Ma Etty non ha paura (‘Qui non si tratta di conservare a tutti i costi la propria vita, ma di come la si conserva…’) e non le pesa nemmeno lasciare ad Amsterdam i suoi affetti, in primis Spier. Lui le ha insegnato a ritirarsi in preghiera, fornendole i mezzi per sopportare qualunque dolore.
Poi Spier si ammala seriamente, ha un tumore ai polmoni. Inizia le cure ma non funzionano.
Etty riesce ad avere dei permessi per tornare una dozzina di volte ad Amsterdam , ma anche lei sta male ed uno di questi permessi le vale a subire un ricovero in ospedale. E’ deperita, ha forti dolori alla testa, allo stomaco, alla pancia. I suoi amici la implorano affinché si nasconda e non torni a Westerbork. Una volta addirittura tentano di rapirla, ma lei è irremovibile. Non potrebbe mai sottrarre a se stessa quello che gli altri ebrei devono patire.
Quando va a trovare S., ne spia la trasformazione.
‘Ecco l’ostetrico della mia anima che ridiventa bambino…’
Spier muore e trovandosi Etty ad Amsterdam, può assistere ai suoi funerali, ma ormai con la mente e col cuore è già di nuovo a Westerbork, dove ritorna per dedicarsi ai malati, aiutare le mamme coi bambini e soprattutto parlare con tutti loro.
‘A volte le persone sono per me come case con la porta aperta’.
L’hanno sistemata in una piccola baracca insieme ad altre cinque persone. Di notte non si dorme per il brusichio dei topi che rosicchiano i piedi dei letti. Il prurito dovuto ai pidocchi non dà tregua.
’Eppure non riesco a trovare assurda la vita.’
‘Se anche si soccombe miseramente, fino all’ultimo istante si sente che la vita è bella e ricca di significato, che si è realizzato tutto quanto in noi stessi e la vita era buona.’
Di giorno fa la spola da una casa all’altra per aiutare a sbrigare faccende burocratiche, tradurre il tedesco degli ordini degli altoparlanti.
A Westerbork dove i comandanti sono patiti per il cabaret, e ci sono ottimi attori ebrei tedeschi ed olandesi che essi costringono ad esibirsi. Si tira l’alba tra trionfi di cibo, fumo, alcool, risa e sghignazzate.
Al campo di Westerbork dove si vive nel terrore di ricevere la chiamata per partire, essere tra i prescelti che saranno sterminati nelle camere a gas.
A Westerbork dove arrivano anche suo fratello Mischa e i genitori, che lei, pur coi sensi di colpa, vorrebbe a tutti i costi salvare. Il padre è pacifico, legge Omero a giovani ragazzi. La madre ogni giorno va nella baracca del marito e lo bacia.
Partiranno invece tutti insieme ma in vagoni diversi, il 7 settembre 1943.
‘E così, eccoci alla nostra ora amara.’
Dal treno Etty lascia cadere una cartolina che dice:
’Siamo partiti cantando.’
I genitori entrano in forno crematorio il giorno stesso del loro arrivo (tu di qua, tu di là, così sceglievano chi consegnare subito alla morte). Etty muore poco più di due mesi dopo, il 30 novembre, Mischa il 31 marzo 1943. Jaap muore a eccidio finito, sul treno che lo sta riportando in Olanda.
I sopravvissuti di Auswvitz che hanno conosciuto Etty, di lei hanno testimoniato che ‘era una persona luminosa’.
Il suo diario è uno dei documenti sulla Shoah più importanti del nostro tempo.
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