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Aldo Fabrizi

Uscito sul Quotidiano del Sud - Edizione di Salerno in due parti:
Prima parte il 04-02-2021 Seconda parte il 05-02-2021
Pagina culturale

 
‘T olto da questo mondo troppo al dente’ (epitaffio che volle sulla sua tomba)

Aldo Fabrizi fu attore (comico e drammatico), sceneggiatore, regista, produttore, doppiatore, cuoco e poeta.
Più di ogni altra cosa, fu maestro di Romanità.
Un neorealista prima del neorealismo, prima di Rossellini.
Un uomo dalla potente ironia.
Amico di grandi come Totò e Federico Fellini, che di lui disse:
‘Ha una forza caricaturale violenta. In sostanza esprime quella che era l’anima del romano, proprio del romano dell’Impero: violento, cinico, sentimentale.’
Marco Giusti:
‘Ma Fabrizi ingloba anche la parte più viscerale, coatta e profonda della romanità. Così densa da diventare, nel miracolo della rielaborazione artistico-culinaria, un elemento fine’.
Marcello Marchesi:
‘Una volta schiacciò in scena un fagiolo secco che era sul pavimento. Anche da crudo- disse- ha voluto regalarci un rumorino’.

Nacque a Roma il 1 novembre del 1905. La madre faceva la verduraia a Campo dei fiori, il padre Giuseppe il vetturino. Il viaggio di nozze lo fecero a Napoli. A detta di Aldo consumarono dopo 8 giorni, con gli spermatozoi del padre nutriti di cozze e vongole. Dopo nove mesi nacque lui. Erano persone umili. Giuseppe usciva di casa alle tre del mattino per trasportare le venditrici al mercato. Faceva anche altri lavori, trottando tutto il giorno per raggranellare soldi per la sua truppa di otto persone.
Dormivano tutti in uno stanzone.
‘I miei genitori facevano l’amore nascondendosi sotto le coperte, in fretta e in silenzio per non turbare i bambini che non dovevano capire. Tutto era avvelenato dalla miseria, una miseria onesta…’
Ma quando Aldo aveva solo undici anni, il padre morì per una polmonite fulminante. Cadde in un fosso romano col carretto e il cavallo e morì, lasciandoli più poveri di prima. Aldo abbandonò la scuola e cominciò a lavorare, facendo vari mestieri per aiutare la famiglia, composta dalla madre e cinque sorelle, tra cui la sora Lella. Lui era il primo figlio.
In un’intervista rilasciata a 83 anni (morirà a 84) così racconta il triste episodio della morte del padre:
‘Mio padre morì mentre lavorava, precipitando in un ruscello gelato in pieno inverno. Prese una brutta broncopolmonite, ma sarebbe guarito, se solo avessimo avuto i mezzi per curarlo. Invece in casa non c’era denaro per comprare le medicine e nemmeno uno scaldino per intiepidire le lenzuola. Per dargli un poco di calore, riempimmo una bottiglia di acqua riscaldata alla meglio, che naturalmente non servì a niente. Così papà morì, lasciandoci soli con la nostra povertà. Inebetito dal dolore, rimasi a casa un paio di giorni, prima di tornare a scuola. Quando lo feci, trovai il maestro che mi rimproverò aspramente, senza curarsi di sapere il motivo della mia assenza. Ricordo che mi fece stendere le mani e le colpì con una bacchettina di legno. Ancora oggi, se penso a quel triste episodio, riprovo lo stesso dolore fisico e morale, per quella punizione ingiusta. Torna con la giustificazione di tuo padre, mi intimò il maestro. Rimasi immobile con una gran voglia di gridargli la verità: mio padre non potrà mai firmare la giustificazione perché sta sotto terra. Poi la parte del mio carattere, che nella vita non ha fatto altro che procurarmi fregature, ebbe il sopravvento e me ne stetti zitto, per evitare una figura infame al maestro. Il disgusto però fu così forte che da quel giorno, avevo 11 anni, non andai più a scuola.’

Aldo però aveva indubbie capacità artistiche, e la sua carriera le ha testimoniate tutte, secondo me preminentemente quelle di autore e attore. Si diede sempre da fare. Nel 1928, all’età di 23 anni, pubblicò un volumetto di poesie romanesche dal titolo ‘Lucciche ar sole’, recensito sul quotidiano Il Messaggero. Nello stesso periodo cominciò anche a recitare come macchiettista e divenne in breve tempo popolare, grazie alle sue caricature sui mestieri. A 32 anni formò una compagnia che per breve tempo ebbe tra i suoi attori anche Alberto Sordi. Nel 1945 col film neorealista ‘Roma città aperta’ di Rossellini, in cui era protagonista insieme ad Anna Magnani, consolidò il suo successo. Nel film Prima Comunione (1950) di Alessandro Blasetti, fu premiato col Nastro d’argento al migliore attore protagonista. Da quel momento, interpretò circa 70 film, molti con Totò e Peppino de Filippo, sancendo definitivamente il suo protagonismo nella commedia all’italiana.
Aveva un carattere giocherellone, facile alla battuta, che però con gli anni e le delusioni divenne ombroso e sempre più permaloso. Per dirla in romanesco, era uno che rosicava parecchio, e si piangeva anche addosso.
Nella sua vita litigò tanto, anche per la sua estrema franchezza, e questo contribuì a creargli solitudine intorno, che lo accompagnò per circa 30 anni e si acuì dopo la morte per leucemia, nell’81, della moglie Beatrice Rocchi, cantante di varietà degli anni venti detta Reginella, che per lui e la famiglia aveva rinunciato alla carriera. Dal loro matrimonio nacquero due gemelli: Massimo e Wilma, il cui padrino fu Fellini. In realtà il matrimonio non fu tutto rose e fiori, per i numerosi tradimenti di Aldo, in particolare quello con la cantante Lisetta Nava.
Fu molto amico con Totò, e Franca Faldini, sua compagna, ce lo racconta. Stava spesso a casa loro. Naturalmente litigava pure con lui, ma poi facevano pace, in fondo si stimavano assai. Soprattutto, si divertivano a sfottersi.
La sua ‘moglie cinematografica’, fu Ave Ninchi, cui volle sempre bene.
Invece con Anna Magnani non si sopportarono mai, e si racconta che addirittura tra di loro ci furono scontri in seguito ai quali abbandonarono entrambi il set. Di Anna Magnani, con cui aveva recitato in Roma città aperta, non aveva né stima, né simpatia. In sostanza, la detestava, e in più di un’occasione, la denigrò:
‘La sua fama è immeritata. -di lei diceva- Quando recita, tu guardaje le mano: nun sa do mettele’.
Lei lo apostrofava come fagiolaro.
Anche con Nino Taranto, con cui lavorarono insieme, sul set Aldo si ignorava.
Queste cose le racconta suo Figlio Massimo, musicista, nel libro ‘Aldo Fabrizi: mio padre’.
Secondo lui Fabrizi soffriva molto per i successi altrui, non riusciva a gioirne, soprattutto nel suo periodo del declino.
Nel libro, Massimo parla malissimo del Fabrizi padre e ricorda quando (lui aveva solo sei anni), gli mollò un ceffone perché si era rifiutato di bere vino. Adorante invece il suo sentimento di figlio nei confronti del padre attore.
Proverbiale la sua generosità. Quando seppe delle peripezie economiche di Macario, gli diede un ruolo da co-protagonista ne ‘La famiglia Passaguai fa fortuna’, della sua serie cinematografica. Erano gli anni in cui lui poteva e spandeva.
Su quella che fu la vita di Fabrizi, non ci sono misteri. Odiava ciò che era diventata Roma, aborriva il chiasso, ed anche la Roma del calcio. Lui era tifoso del Napoli.

Per quanto concerne Fellini, Fabrizi conservava una foto di lui, con dedica:
‘Ad Aldo Fabrizi padre, amico, fratello e fidanzato, con tanta ammirazione ed amicizia.’
Infatti erano amici, di un’amicizia che nessuno dei due avrebbe mai dovuto dimenticare. Si erano conosciuti una sera in rosticceria. Fellini racconta che lì aveva trovato questo attore coi suoi occhi da ranocchio che, accortosi che aveva mangiato due supplì senza avere i soldi per pagare, aveva offerto lui. Era l’epoca in cui Fabrizi aveva messo su una compagnia che si chiamava ‘Faville d’amore’, all’incirca la stessa tipologia di compagnia che tempo dopo Fellini racconterà in Luci del varietà. Dopo quella sera in rosticceria, Fellini per un anno seguì Fabrizi, scrivendo per lui sketch, canzoncine, dipingendo le scene, addirittura sostituendo qualche attore ammalato. Questo periodo con Aldo, Fellini lo descrive come un periodo ricco, foriero di cose che lui in seguito farà. La versione di Fabrizi, invece, è un po’ diversa. Dice che molte trovate che Fellini inserirà nei suoi film, le ha rubate a lui, ai suoi racconti di quando passeggiavano insieme lungo il Tevere, e parlavano, parlavano. Forse le versioni a ‘modo suo’ di Fabrizi finirono con l’infastidire Fellini. Vent’anni dopo, quando Aldo sperava di fare con lui il Satyrikon, Fellini invece volle trasformare l’idea teatrale in un film, e come attore scelse un celebre oste romano detto il Moro. Per Aldo, fu uno sgarro imperdonabile. Lui non chiamò più Fellini, Fellini non chiamò più lui.
Un'altra amara delusione, Fabrizi dovette ingoiarla quando Sordi gli ‘rubò’ il Marchese del grillo, che lui sempre aveva progettato di fare, con la regia sua o di Luchino Visconti.
Lo stesso Fabrizi però riconosceva di essere stato molto indolente nella vita, e che la sua indolenza peggiorò con gli anni, così molti suoi progetti svanirono a furia di essere rimandati.

Tra il 48 e il 57, diresse 9 film, tra cui la trilogia delle avventure della famiglia Passaguai, ma Sergio Leon affermò che le sue regie erano per lo più fittizie, in quanto nella maggior parte dei casi se ne occupava lui e Fabrizi apponeva solo la firma.
Durante gli anni settanta, recitò in pochi film, tra cui ‘C’eravamo tanto amati’, di Ettore Scola, che gli valse il suo 2° Nastro d’argento.
Non molto prima della morte, che avvenne, dopo lunga agonia, per insufficienza cardiaca nel 1990, gli fu conferito il David di Donatello alla carriera.
Per quanto concerne il teatro, nella stagione 62-63 ottenne al Sistina di Roma un grande successo, interpretando il ruolo del boia papalino mastro Titta nella commedia Rugantino, di Garinei-Giovannini e Festa Campanile. A seguire, ci fu anche una strepitosa tourné a Brodway, dove per tanto tempo lo spettacolo registrò il tutto esaurito.
Ci ha lasciato molti scritti, Fabrizi, il cui vero cognome era con due b, Fabbrizi. Forte il suo potere narrante in romanesco, ma anche in lingua.
‘Aspettavamo il cenone della vigilia, a base di fritto con la pastella. Si friggeva di tutto: baccalà, ricotta, zucca gialla, pesce, broccoli, mele, carciofi. Qualche anno mi capitava anche di berci su il vino, gran lusso a casa mia. Poi c’era il lato temperatura: io aspettavo Natale per scaldarmi un po’. A quel tempo, il caminetto ce l’avevano i titolati, poi c’ erano bracieri e stufe a carbone per le famiglie medie, e lo scaldino per i poveri, cioè per i poveri anziani. A casa mia ce l’aveva solo mia nonna, e guai a chi glielo toccava. Io avevo il mio termosifoncino privato ed era il gatto. Quando mangiavo mi si metteva sulle spalle, mi riparava da uno spiffero della finestrella proprio dietro il mio posto ed io in cambio gli davo qualche briciola di cena. Prima di andare a dormire lo mettevo in fondo al letto, e mi ci scaldavo i piedi, pensando che non aveva i pericoli degli altri riscaldamenti, esalazioni di anidride carbonica, incendi e fughe di gas…’
Ha scritto e pubblicato libri di cucina pieni di consigli e ricette, ma le lingue biforcute che sempre si vendicarono della sua, affermano che al contrario della sora Lella, lui poco sapesse cucinare.

Norma D'Alessio