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Fellini

Uscito sul Quotidiano del Sud - Edizione di Salerno il 13.09.'21
Pagina 'Cultura e Società'

 
D urante il mio ultimo viaggio a Rimini, giro a lungo per la città e penso a Fellini provando a guardarla coi suoi occhi.
Fellini:’ Rimini è un pastrocchio confuso, pauroso, tenero, con questo grande respiro, questo vuoto aperto al mare’.
Un pastrocchio confuso, sì, misterioso e confuso, tant’è che attraversandola a un certo punto mi stordisco, non distinguo se sono più suggestionata dalle immagini della città che mi riportano a Fellini, o da quelle descritte da Fellini che mi riportano alla sua città.
In questi casi però non stai molto a pensare. Ti immergi nelle suggestioni e osservi e respiri e annusi come un animale. Io faccio così.
I sensi si espandono quasi dolorosamente nella ricostruzione della nebbia felliniana in Piazza Malatesta, dove scivolo a pelo d’acqua come un fantasma incipriato da sbuffi di vapore.
Mi sembra di sentire il fischio del nautofono, ripristinato nel 2019. Ma quello suona solo quando c’è la nebbia vera.
Davanti a me, un cane solitario percorre in silenzio quello specchio burroso un po’ inquietante (sembra appartenere a un girone dantesco), che conduce a Fellini come di caverna in caverna. Entro nel museo a lui dedicato, inaugurato il 19 agosto di quest’anno nel Castel Sismondo (i materiali della mostra sono assicurati per due milioni di euro), dove all’ingresso, in alto sospesa, trionfa una statua a gambe spalancate raffigurante Alberto Sordi nello sceicco bianco. Appena dentro vengo assorbita, risucchiata dall’atmosfera. Avanzo come una zombie e allora lo ‘sento’. C’è la sua sedia, il suo megafono, ci sono vestiti dei suoi film, e tutti i Mastroianni i Sordi le Claudie Cardinali del suo cinema che con le grandi pupille e le fuligginose occhiaie ansimano insieme a lui, testimoni del ‘respiro fonico’ che Federico ci ha insegnato. Il volto di Giuletta Masina e di tutti i personaggi da lei interpretati sporge da ogni dove. Una lussuriosa installazione raffigurante Anitona della Dolce vita giace su un fianco per adescarti. Ci sono 500 dei suoi disegni, la stanza della musica, le note di Nino Rota, insomma, palpita lì trasposta, immaginaria eppure reale, la sua narrazione cinematografica così come lui ce l’ha proposta. La struttura organizzativa della mostra, fonda invece sugli scritti del poeta-sceneggiatore- pittore, insomma artista, Tonino Guerra.
La cosa più straordinaria in assoluto, una sala interamente dedicata al diario dei sogni, che Federico ha tenuto per anni, annotandovi i suoi sogni e illustrandolo coi suoi disegni. Diventato poi uno dei suoi libri più famosi: Il libro dei sogni, appunto.

Fu un ragazzo ordinario, il riminese puro e visionario Federico Fellini, classe 1920 (forse un po’ strano di carattere perché preso col forcipe), succube della madre bigotta che vuole fare di lui un prete. E’ lei a far rigare dritto i tre figli. I compagni di scuola e di strada scalpitano. Le strade e i cortili riminesi dell’epoca, sembrano fatte apposta per questo, ma il bambino Federico preferisce restare in solitudine per coltivare il suo mondo fantastico. Da adulto si descrive come un terribile monello, vuole vederla così la sua infanzia, ma non è vero. Il fratello Riccardo, più grande di lui di 13 mesi, lui sì è una peste.
Già da piccolo però Federico ha una fervida immaginazione (‘Mi sono inventato quasi tutto, per il piacere di poterlo raccontare’).
A sette anni scappa di casa per inseguire un circo, cosa che naturalmente non gli riesce. Ama i fumetti e passa ore e ore a disegnarli, il che gli risulterà sempre utile nella sua carriera di regista. A nove anni riceve in dono un teatrino delle marionette ed impara presto ad animarle. Immagina di voler diventare un burattinaio. E’ molto magro, e merita il soprannome di canocchia, o anche Ghandi. Negli anni dell’adolescenza, spesso in giro con l’amico Titta, cui resterà legato per tutta la vita, comincia ad assecondare il suo spirito dissacrante, sperimentando alcuni scherzi poi descritti nel suo famoso film ‘I vitelloni’.
Tutti i critici grandi e meno grandi hanno parlato del regista dicendo di lui molte cose, però su una si è unanimemente d’accordo: la vera vocazione di Fellini è la curiosità. Lui l’occhio di bue ce l’ha dentro.
Dopo la maturità se ne va a Roma convinto di voler fare il giornalista, pieno di vergogna per non avere sofferto da soldato o partigiano durante la grande guerra. Si iscrive alla facoltà di giurisprudenza, ma non dà mai esami. Nel 46 ritorna a Rimini per constatarne la quasi totale distruzione sotto i bombardamenti. Distruzione che riguarda il centro storico, ma anche la fascia marina con le sue attività balneari. Rimini è stata tra le prime città del mondo ad insegnare e promuovere la salubrità del mare, ancora oggi lo fa. E prima di ogni altra, con felice intuizione promulga il binomio attività balneare-divertimento. Lì le orchestre spettacolo imperavano e si ballava ogni notte. Tutto era sano e prospero, lì, prima della guerra, a cominciare dal cibo. Infatti anche lontano da quei luoghi, Fellini ha sempre chiesto di mangiare il ‘suo’ cibo, anche se non aveva lo stesso sapore: tagliatelle, strozzapreti e soprattutto cappelletti in brodo. Successivamente, Rimini riesce in breve tempo a cominciare daccapo, ricostruendo se stessa. Lo storico locale Embassy, sotto la magistrale guida dei fratelli Almerigo e Claudio Semprini e del loro socio Guido Mulazzani, vive anni di grande successo, con l’orchestra di Fred Buscaglione che si esibisce tutte le sere, e poi Mina, Milva e tanti altri artisti famosi.
Il Grand Hotel riserva a Fellini una suite per tutta la vita, ma lui dopo avere ingoiato le immagini di Rimini distrutta non torna se non in rare occasioni. Più i suoi film (venti, premiati da cinque Oscar) parlano di Rimini e la vagheggiano, più lui ne resta lontano, al punto da guadagnare le critiche e l’antipatia di molti conterranei.
Consciamente o inconsciamente, Federico sceglie di ritornare nella sua città solo coi suoi film. Ma a più d’uno deve andare storto il fatto che gira sul Tirreno una scena che figura ambientata sull’Adriatico, e ad Ostia una scena riminese. La maggior parte delle sue ambientazioni, avvengono a Cinecittà. Non lo capiscono, ai riminesi sembra che lui li abbia traditi. Fellini sembra fregarsene. Talvolta, forse furbamente, afferma che non torna nella sua terra per una specie di blocco, per superare il quale ha bisogno di rielaborazioni della memoria attraverso i suoi film. E’ attore di se stesso. Famose, le sue voci femminili con cui al telefono si finge cameriera che nega la presenza in casa del regista.
Sono gli anni del successo e delle donne. Alle 8 di mattina riceve al Canova, bar di Piazza del popolo, di cui si serve come di un ufficio. Ama profondamente sua moglie Giulietta Masini, sposata quando lui aveva 22 anni e lei 21 (conosciuta in Radio, laddove l’attrice dava la voce al personaggio di Pallina, inventato da lui), e considerata la sua musa ispiratrice. Ma ama anche i rapporti carnali con le donne, ed ha lunghe frequentazioni persino pubbliche con le sue amanti. Con la farmacista Anna Giovannini, una frequentazione durata 30 anni. Sosteneva che lei lo avesse salvato dalla depressione. Con l’attrice Sandra Milo, sempre in giro per salotti televisivi a spiattellare la loro storia, di 17 anni. Erano entrambi sposati e stavano insieme. E poi con Anita Ekberg ed altre. Giulietta in pubblico non fa mai scenate, perché sono tradimenti della carne. Col cuore Federico non la tradì mai. E come poteva? Simbiotici nell’arte e nei ricordi: il loro unico figlio, Federichino, morì a quindici giorni dalla nascita.
Intanto il tempo passa e i romagnoli aspettano. I sindaci e gli assessori comunali lo invitano sempre. Desiderano riceverlo come l’ospite più illustre, più atteso e desiderato. Ma Federico se ne burla, inventandosi richieste oggettivamente inesaudibili. Una volta pretende addirittura di giungere a Rimini a bordo di un grande panfilo, che deve approdare difronte al Grand Hotel. Gli rispondono affermativamente, ma lui alza la posta. Il panfilo deve, su una grande vela bianca, recare la scritta ‘Evviva la figa’.
Finalmente il 25 settembre del 1983, Fellini, grazie al Fellini’s day, organizzato in occasione della prima del film ‘E la nave va’, torna a Rimini. Scenario pazzesco, la città tutta illuminata. Lungo collegamento con Pippo Baudo conduttore di Domenica in, che trasmette l’evento in diretta. Eppure anche stavolta qualcosa va storto. A Fellini viene dichiarato che riceverà in regalo una casetta sul porto, in segno di gratitudine della sua città per l’operato artistico svolto. La casetta non verrà mai consegnata, con somma gioia di Giulietta Masina, che già la immaginava garconniere del focoso Federico. La stampa titola: ‘Il bidone al Maestro’.
Il 1993 è anche l’anno del suo ultimo oscar, dato alla carriera. Accade il 29 marzo, un giorno dopo i suoi 50 anni con Giulietta. A lei dedica l’oscar e dice, in diretta mondiale: ‘ Giulietta, stop crying! Stop crying!’(smettila di piangere).
Dopo aver ritirato il premio, a Federico tocca affrontare, in una clinica di Zurigo, un difficile intervento per un aneurisma all’aorta addominale.
Superato l’intervento è molto debole e deve decidere dove fare la sua convalescenza. Sceglie Rimini, dove soggiorna nella sua suite al Grand hotel. Ci sono poi giorni meravigliosi, passati con l’amico Titta a sciamare per Rimini come 60 anni prima…
Ma il suo benessere non dura a lungo. Il 3 agosto dello stesso anno sopraggiunge un ictus, che lo costringe al ricovero presso l’ospedale Infermi. Lo supera, rimanendo però neuroleso, semiparalizzato. Muore infine il 31 ottobre soffocato da un pezzetto di mozzarella finito in trachea, che lo fa entrare in coma e non si sveglia più.
Penso che il suo folletto burlone dovette ridere parecchio per questa morte così tragicamente buffa.
Ai suoi funerali (prima a Roma poi a Rimini), la sua gente accorre addolorata e solidale, ma per arrivare ad oggi la strada è stata lunga. Molte le amministrazioni comunali dimostratesi incapaci di accoglierne formalmente e sostanzialmente il lustro. Accadeva spesso che a Fellini offrissero tributi più in altre città che nella sua. Poi al centenario della sua nascita, nel 2020, la sua ‘eredità’ riminese finalmente esplode. Un anno prima ripristinato anche il nautofono, il fischione del porto. Grazie Maestro. Tra l’altro mi hai insegnato il vero significato della parola amarcord, lo terrò sempre in conto.

La sua Giulietta morì appena 5 mesi dopo di lui.
Norma D'Alessio