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La figlia femmina

Uscito sul Quotidiano del Sud - Edizione di Salerno il 11-12-2020
Pagina "Cultura e Società"

 
D a un lato, la giovane età della scrittrice; dall’altro, la sua scrittura così piena!
Siamo sicuramente di fronte a un talento letterario, e credo si farà molta strada, questa trentunenne calabrese, Anna Giurickovid Dato, che già dalle prime pagine ci ammalia col fascino di questo suo primo romanzo, risalente al 2017, che è psicologico ma anche di ambientazione.
Infatti i protagonisti, Giulio, che è un diplomatico, sua moglie Silvia e la loro figlioletta Maria, vivono tra Roma e Rabat, una delle 4 città imperiali del Marocco.
Marocco che si vede e si respira profondamente durante gran parte del libro e mi chiedo se l’autrice vi abbia vissuto o abbia fatto invece su di esso semplicemente delle buone ricerche, ma da come conduce e spinge il nostro sguardo e i nostri sensi attraverso quei luoghi, propenderei per la prima ipotesi. Se no, un motivo in più per ritenerla un’abile narratrice.
Il romanzo è forte, duro, e scuote da subito, perché da subito ne rivela il dramma. Sotto gli occhi della moglie perdutamente innamorata, Giorgio vive il suo rapporto insano con la figlia. Tutto inizia che lei ha cinque anni.
I binari della narrazione sono due. Quello di una vita apparentemente tranquilla, illuminata dagli agi e dall’immersione nelle bellezze di Rabat, che non fanno da scenografia, bensì da nutrimento per lo spirito, per i protagonisti e il lettore, e quello del ‘sottobosco’ ambiguo e ingannevole della famiglia, che vede una bimba piccola abusata dal padre.
Le giornate scorrono apparentemente quiete, Silvia e Maria entrambe soggiogate dal fascino di lui.
‘Maria è l’unica figlia di suo padre. Se un giorno lui la legasse e la stendesse su un altare accanto a legna da ardere, lei non si stupirebbe. Pensa che lui lo farebbe fissandola con gli occhi neri e severi, attraverso le ciglia ramate. Lei gli accarezzerebbe un ricciolo della criniera arancione che ha sempre voglia e timore di toccare. Penserebbe che se lo fa papà è giusto’.
Le giornate scorrono quiete, ma una mattina come tante, di ritorno dalla spesa al mercato, Silvia si imbatte in una folla sempre più fitta nei pressi della loro abitazione. Procede con ansia crescente, urta le persone per avvicinarsi sempre di più. Infine, ansimante e con un brutto presentimento nel cuore, arriva e vede. Suo marito giace in vestaglia sul selciato, in una pozza di sangue. Morto.
Suicidio? Morte accidentale? Nessuno saprà mai se Giorgio da quel balcone ci si è lanciato o è stato spinto.
La famiglia, composta ormai da sole due persone, madre e figlia di nove anni (più per il rimpatrio in Italia Adele, la madre di Giorgio, in seguito a questo lutto diventata pressoché folle), ritorna a Roma e qui si trova ad iniziare tutto daccapo.
Silvia apre una galleria d’arte e si dedica a sua figlia, che ora ha dodici anni. Una ragazza strana, taciturna, capricciosa e tiranna. Ma la morte di Giorgio non è l’unico dies irae di Silvia. Accadrà che un giorno impietosamente Maria le riveli tutto, proprio tutto.
E qui la narrazione, tesa e potente, avrà una svolta.
E’ sempre Silvia a narrare, ma stavolta i suoi sensi di colpa prendono il sopravvento. Poteva salvare sua figlia, ma non l’ha fatto. Presa dalla ‘pigrizia della sua mente felice’ e dal suo totale abbandono verso Giorgio, non ha visto quello che doveva vedere, e ha addirittura idealizzato la figura di un uomo così profondamente malato. Quindi l’autrice dopo averci narrato la vita apparentemente normale di questa famiglia, fatto sentire i profumi di Rabat e messo difronte a due colpi di scena, quello della morte di Giorgio e quello della rivelazione di Maria, scava nei sensi di colpa della madre, ora di fronte non solo al delitto perpetuato dal marito ma anche e soprattutto, orrore nell’orrore, quello perpetuato da se stessa.
Avrebbe dovuto pensare a fare la madre e proteggere sua figlia dal mostro che la sera se la teneva sulle ginocchia e tra le braccia, e invece... Maria… Maria… Ma chi è ora Maria, e soprattutto, chi è stata e chi è veramente: è stata sempre e solo vittima, o anche carnefice?
L’ultima parte del libro è davvero tremenda, agghiacciante. Ci fa assistere a un corpo a corpo madre-figlia di una tale intensità da restare davvero scossi. E possiede una sensualità che cattura e incanta. Fa paura eppure si vorrebbe non finisse mai.
E’ stato paragonato a Lolita, il capolavoro di Nabokov, e devo dire che in tale paragone La figlia femmina non scompare.

Norma D'Alessio