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ll grande me

Uscito sul Quotidiano del Sud - Edizione di Salerno il 23-12-2020
Pagina "Cultura e società"

 
S
ono recidiva, e bene me ne viene. Che io ricordi, è stato sempre così. Mi riferisco ai libri. Quando leggo un autore per me nuovo, e il libro mi entusiasma, ne cerco subito altri, nel desiderio di verificare se è solo quel libro che mi è piaciuto o è proprio la sua scrittura ad affascinarmi. Così, dopo la lettura de ‘La figlia femmina’, di Anna Giurickovic Dato, che è la sua bellissima opera prima, ho subito acquistato il suo secondo libro, ‘Il grande me’. In realtà non l’ho acquistato io, ma me lo sono fatto regalare da mio marito Cosimo. Ecco un’altra mania. Nella speranza che sia un grande libro, chiedo a lui di regalarmelo, così se è bello lo è al quadrato perché contiene anche la preziosità di un dono. Però non gli faccio pressioni, è lui che si presta volentieri a questo gioco di generosità, gli piace acquistare libri. Il gioco è reciproco.
‘Il grande me’ mi ha suscitato emozioni fortissime.
Questa grande, a questo punto devo dire grande narratrice, anche se ha solo 31 anni, dopo averci fatto detestare l’uomo, con la lettura de ‘La figlia femmina’, che racconta di violenza carnale nei confronti della propria bambina, nel secondo invece ce ne fa innamorare, perché ci parla della malattia terminale di un padre amatissimo e quindi dello struggente addio tra lui e i figli.
Ebbene, non c’è gemito di figlia né dolore che lei non abbia descritto, né grido che lei non abbia lanciato attraverso la scrittura di questo libro meraviglioso e vero. Solo una grande narratrice poteva impostare un intero romanzo su una malattia terminale senza tediare né appesantire.
Eppure la malattia in questione, un tumore al pancreas che divora Simone, genitore appassionato dei suoi tre figli nonostante gli eccessi della sua vita, viene trattata nei dettagli, anche dal punto di vista sanitario, per quando riguarda i segni, sintomi, le cure…
Ma quello della malattia non è l’unico tema del libro; il tumore di quest’uomo e la sua atroce malattia sono il tramite per parlare di rapporto genitori-figli, di infanzia, ricordi, speranze, insomma di molto più.
E con lo stesso senso della verità con cui l’autrice aveva narrato nel libro precedente di violenza carnale su una bimba piccola, adesso ci descrive la verità di una famiglia durante i giorni senza speranza del padre.
Un libro intriso di così tanta morte, che viene raccontata coi colori della sua trasumananza, eppure di così tanta vita. I tre figli di Simone si trasferiscono da lui durante la malattia. Lo assistono in maniera autentica e totale. Non è il giorno a cogliere i loro risvegli, se tali sono, o la notte a cogliere i loro addormentamenti. Sono essi che governano col loro amore e le premure per il padre e le sue sofferenze, il giorno e la notte.
Gli sforzi di tutti e quattro di andare incontro agli altri e viversi questa unione fino alla fine, creano un’atmosfera densa di affetto.
Simone si debilita ogni giorno di più e si smemora, è talora presente, talora confuso, sempre più confuso, soprattutto quando è costretto a fare uso di morfina. Ha tanto suonato, sin da piccolo, e tanto amato la musica ed essa ora gli si agita ancora dentro, insieme al magma dei suoi sentimenti d’amore per i figli che non vorrebbe lasciare e per la vita. Inoltre, comincia a parlare, però sfocatamente, di un suo grande segreto. I giovani indagano con tutte le loro forze per scoprirlo e dargli la pace che cerca in relazione a qualcosa di incompiuto…
La voce narrante, è quella della figlia Carla, che spesso siede in salotto col fratello Mario e la sorella Laura. Chiacchierano col padre e tra di loro come se niente fosse. In realtà se ne stanno lì ‘coi loro sguardi obliqui che non vogliono più incontrarsi’.
‘Mi passi lo zucchero per favore? Le parole comuni di colpo appaiono strane, allora le si ripetono moltissime volte e quelle, invece di tornare ad essere le parole di sempre, perdono significato, si allontanano da ogni rappresentazione e assumono confini incerti, poi, sfumando sino all’inverosimile, diventano vaporose, inconsistenti, parte stessa dell’aria, prive di accento e di qualsivoglia riferimento reale. Una dislessia della morte è ciò che viviamo, ed è la confusione, con cui accogliamo la dura notizia, che ci salva e ci permette, in alcuni momenti, persino di dimenticarcene. Chi è là fuori, chi tutto questo non lo sta vivendo, nota in noi comportamenti strani, mentre torno a casa col vestito macchiato e la scarpa rotta, reggo i sacchi della spesa (perché si deve pur mangiare) e non mi accorgo che l’albume di un uovo mi sta colando sui piedi, mia sorella è al mio fianco spettinata, ha comprato il cioccolato perché (si sappia) la morte non fa sparire le voglie, e mio fratello ogni giorno è più grasso, assimila quello che non può assimilare mio padre, e in una sola mossa, per sé e per noi, gli somiglia e lo sostituisce. Siamo normali solo qui dentro; appena ci troviamo là fuori chi non ci conosce ci giudica, chi ci ama non ci comprende e pensa di doverci usare attenzioni e delicatezze eccessive, senza per questo coinvolgerci nelle loro attività quotidiane; si avvicinano a noi spaventati, ci parlano con troppo rigore, ci offrono lacrime che non vorremmo versare, ci compiangono e così noi ci sentiamo più soli’.
L’atmosfera è struggente, con le parole d’amore di Simone per la sua vecchia madre, ormai scomparsa da anni:
‘Quanto sarebbe infelice oggi mia madre se sapesse che sto così male.’
E di Carla:
‘Difficile rasserenarsi, ora che tutta la tristezza raccolta mi sta premendo addosso, e quando si è molto tristi, a volte, si ha voglia di essere ancora più tristi. Vorrei uscire dal bagno così, con le guance nere di trucco colato, il naso arrossato e gli occhi piccoli e gonfi, abbracciarlo, posargli la testa sulla pancia e chiedergli perché muori papà? sperando che lui carezzandomi la testa mi rassicuri: qui non muore proprio nessuno, bimba, io no di certo!
Un libro a tratti anche molto cinematografico, come quando Simone, ormai malato da tempo, esce a fatica dall’appartamento e recluta un uomo del Camerun, Malik, ché lo aiuti a trasportare a casa litri e litri di Coca-Cola per svuotarli nel cesso. E’ il suo atto di ribellione per quest’abbondanza che non è salute, per questo male che quelli come lui hanno per averlo comprato al supermercato.
Infine tutto precipita. Simone entra in un nuovo stato che si chiama morte attiva.
‘I muri somigliano ai pavimenti e i pavimenti ai muri’.
‘Dio, è peccato se prego senza fede?’
‘Dove sono i mei figli, il mio prolungamento nella vita, la mia promessa e l’unica mia cura?’
‘Io che mi sono compresa grazie alla sua comprensione’
‘Si può guadare un padre (questo padre!) e con un solo sguardo morire prima di lui’.

Norma D'Alessio